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ELIXA e TECOS: lixisenatide e sitagliptin non aumentano il rischio di scompenso cardiaco in pazienti diabetici

By 6 Ottobre 2015Settembre 15th, 2021No Comments
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Gli ultimi dati degli studi ELIXA e TECOS indicano che il trattamento con lixisenatide e sitagliptin in pazienti con diabete di tipo 2 non è associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco. I risultati di questi due studi, presentati al Congresso ESC 2015, forniscono evidenze confortanti sulla sicurezza cardiovascolare di entrambi i farmaci.

Lo studio ELIXA si è prefissato di dimostrare la non inferiorità o la superiorità di lixisenatide, un agonista recettoriale del glucagon-like peptide 1 (GLP-1), rispetto al placebo. Lo studio ha arruolato 6068 pazienti con diabete di tipo 2 e storia di infarto miocardico (83%) o ospedalizzazione per angina instabile (17%), randomizzati a lixisenatide o placebo. L’endpoint primario era costituito da un composito di morte cardiovascolare, attacco cardiaco, ictus e ospedalizzazione per angina instabile. Fra le misure di outcome aggiuntive erano incluse la mortalità da ogni causa e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco.

L’outcome primario si è verificato nel 13.4% dei pazienti trattati con lixisenatide vs 13.2% dei pazienti del gruppo placebo. Nei pazienti con pregresso scompenso cardiaco cronico alla randomizzazione, il tasso di riospedalizzazione per scompenso cardiaco durante il follow-up è stato del 10% vs il 2.4% nei pazienti senza storia di scompenso cardiaco cronico.

Sebbene lo studio non sia riuscito a dimostrare la superiorità di lixisenatide vs placebo in termini di sicurezza cardiovascolare, gli effetti neutri sugli eventi cardiovascolari (HR 1.02) rientrano ampiamente nei limiti di non inferiorità prefissati dalla FDA e dall’EMA.

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I risultati già noti dello studio TECOS, pubblicati sul New England Journal of Medicine avevano documentato la non inferiorità di sitagliptin, un inibitore della dipeptidil peptidasi 4 (DPP-4) , rispetto al placebo ad un follow-up di 2.9 anni per quanto riguardava l’endpoint primario composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale o ospedalizzazione per angina instabile. Lo studio aveva arruolato 14671 pazienti con diabete di tipo 2 e malattia cardiovascolare nota, randomizzati a ricevere sitagliptin (n=7332) o placebo (n=7339) in aggiunta al trattamento standard o ad altri farmaci ipoglicemizzanti quando indicati per conseguire un controllo ottimale della glicemia.

Nell’analisi secondaria prespecificata dello studio, presentata al Congresso ESC 2015, il trattamento anti-iperglicemico con sitagliptin non è risultato associato ad un aumento del rischio di complicanze cardiovascolari in pazienti ricoverati per scompenso cardiaco. Non sono state documentate differenze significative tra i due gruppi di trattamento (sitagliptin vs placebo) relativamente al tasso di prima ospedalizzazione per scompenso cardiaco (HR 1.00; IC 95% 0.84-1.20), anche considerando i pazienti con pregresso scompenso cardiaco, né in termini di altri endpoint secondari prespecificati di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e morte cardiovascolare (HR 1.02, IC 95% 0.90-1.14, p=0.74) o ospedalizzazione per scompenso cardiaco e morte per ogni causa (HR 1.00, IC 95% 0.90-1.11, p=0.93).

In precedenti studi (SAVOR-TIMI 53 ed EXAMINE) il trattamento con inibitori della DPP-4 aveva determinato un aumento del rischio di scompenso cardiaco. Diversi fattori potrebbero aver contribuito alla diversità di risultato del TECOS, fra cui differenze nelle caratteristiche dei pazienti arruolati, nella tipologia delle cure pre-randomizzazione, nell’acquisizione o definizione degli eventi di scompenso cardiaco e, non ultimo, differenze intrinseche degli stessi inibitori della DPP-4.