
Apixaban non è superiore allo standard di cura nell’ambito della terapia anticoagulante dei pazienti sottoposti a impianto valvolare aortico transcatetere (TAVI). Sono stati presentati oggi nel corso dell’edizione 2021 del Congresso annuale dell’American College of Cardiology – in programma fino al 17 maggio in formato virtuale – i risultati del trial ATLANTIS. Il trattamento con apixaban è risultato associato a un minor rischio trombotico con un profilo di sicurezza paragonabile ma è stato riscontrato un tasso di mortalità non cardiovascolare più elevato nel sottogruppo di pazienti che non avevano, al di fuori della TAVI, un’indicazione a una terapia anticoagulante orale.
In totale sono stati inclusi nello studio ATLANTIS 1.510 pazienti provenienti da 50 centri e sottoposti a TAVI tra il 2016 e il 2019. Circa un terzo dei partecipanti era in trattamento con una terapia anticoagulante per un motivo diverso dalla TAVI, spesso una fibrillazione atriale. Metà di questi pazienti e metà dei restanti sono stati assegnati a un trattamento con apixaban, mentre i gli altri hanno ricevuto warfarin in caso di indicazione a una terapia anticoagulante orale o un singolo trattamento antiaggregante, solitamente con aspirina, in assenza di tale indicazione.
Non sono emerse differenze tra il trattamento con apixaban e quello standard per quanto riguarda l’endpoint primario dello studio, costituito da una misura composita di morte per tutte le cause, ictus, infarto miocardico, trombosi valvolare, embolia polmonare o sistemica, trombosi venosa profonda o sanguinamento maggiore. Nello specifico, l’endpoint si è verificato nel 18,4% dei pazienti del gruppo apixaban e nel 20,1% di quelli del gruppo sottoposto al trattamento standard.
“Questa differenza, sebbene non significativa, è stata influenzata solo dalla coorte di pazienti che non avevano un’indicazione per l’anticoagulazione orale e solo per quanto riguarda il tasso di morte non cardiovascolare”, ha spiegato il responsabile della ricerca Jean-Philippe Collet, docente del Groupe Hospitalier Pitié-Salpêtrière di Parigi “I risultati relativi al sottogruppo di pazienti che necessitavano di anticoagulazione suggeriscono che l’apixaban in questi casi potrebbe diventare un punto di riferimento data la sua facilità di utilizzo e l sua perfoermance nella fibrillazione atriale”.
I ricercatori hanno infatti utilizzato una tomografia computerizzata con scansioni 4D per esaminare la valvola impiantata e valutare eventuali segni di trombosi, da cui è emerso che i partecipanti sottoposti al trattamento con apixaban avevano, rispetto ai soggetti di controllo, un tasso dell’80% inferiore di formazione di coaguli attorno alla valvola impiantata.
Fabio Ambrosino