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Studio AUGUSTUS: apixaban più sicuro ed efficace di warfarin, mentre l’aspirina… potrebbe ancora servirci!

By 19 Marzo 2019Settembre 14th, 2021No Comments
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Studio AUGUSTUS

All’ACC.19 è stato presentato da Renato D. Lopes del Duke Clinical Research Institute – e pubblicato simultaneamente sul New England Journal of Medicine (clicca qui per il pdf) [1] l’atteso studio AUGUSTUS.

Lo studio ha randomizzato – e seguito per 6 mesi – 4614 pazienti con fibrillazione atriale (FA) che erano stati ricoverati per una sindrome coronarica acuta (SCA) o per essere sottoposti a procedura coronarica percutanea (PCI) a due confronti indipendenti mediante un disegno fattoriale 2 x 2:
Fattore 1, Anticoagulante: randomizzazione 1:1 ad apixaban 5 mg bid o antagonista della vitamina K (AVK);
Fattore 2, Aspirina: randomizzazione 1:1 ad aspirina 81 mg/die o corrispondente placebo.
L’endpoint primario erano i sanguinamenti maggiori o non maggiori ma clinicamente rilevanti secondo la classificazione della International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH).

Un antagonista del recettore piastrinico P2Y12 era raccomandato in tutti i pazienti, ed è stato il clopidogrel nel 92,6% dei pazienti, prasugrel nell’1,1% e ticagrelor nel 6,2%. La popolazione finale è risultata per poco più di un terzo (37,3%) da pazienti con SCA che hanno ricevuto PCI, per il 23.9% da pazienti con SCA trattati con terapia medica e per il 38,8% da pazienti che hanno eseguito una PCI elettivamente. In media, i pazienti sono stati randomizzati circa 1 settimana (6,6 giorni) dopo l’evento clinico qualificante (PCI o SCA), quindi non in fase acuta. L’8,4% dei pazienti presentava valori di creatininemia ≥1,5 mg/dL. Sono stati esclusi pazienti con insufficienza renale severa (creatinina >2,5 mg/dL), anemia severa (emoglobina <9 g/L) e trombocitopenia moderato-severa (piastrine <100.000/mm3).

Il disegno fattoriale, consentendo di rispondere in modo indipendente a due domande distinte nella stessa popolazione, è la caratteristica distintiva dello studio AUGUSTUS rispetto ai precedenti trial PIONEER AF-PCI [2] e RE-DUAL PCI [3] (che hanno saggiato, rispettivamente, rivaroxaban e dabigatran in popolazioni simili) ed ha quindi consentito – per la prima volta – di testare in modo diretto due anticoagulanti (apixaban vs AVK) e l’antiaggregazione con aspirina rispetto al placebo invece che combinazioni di strategie antitrombotiche differenti che avevano complicato l’interpretazione dei risultati degli studi precedenti. Non è stata osservata alcuna interazione significativa tra i due fattori testati né sull’endpoint primario (P per interazione =0,64) né sull’endpoint secondario di morte o eventi ischemici (P per interazione =0,28). Li analizzeremo quindi separatamente.

Fattore 1, Anticoagulante
Nel primo fattore, in aperto, apixaban 5 mg bid è stato confrontato con AVK secondo INR (target 2.0-3.0). Nei pazienti randomizzati ad AVK il tempo mediano in range terapeutico è stato del 59% e del 23% sotto 2.0. Questo dato, sebbene in linea con le evidenze emergenti nel mondo reale [4], forse riflette l’intenzione dei ricercatori di minimizzare il rischio emorragico. Lo studio AUGUSTUS ha dimostrato l’efficacia di apixaban nel ridurre del 31% l’endpoint primario di sanguinamenti maggiori o non maggiori ma clinicamente rilevanti (apixaban vs warfarin: hazard ratio [HR] 0,69, intervallo di confidenza [IC] 95%, 0,58-0,81; P<0,001 sia per non inferiorità che per superiorità) rispetto ad AVK. Da notare che, a differenza dello studio precedente PIONEER AF-PCI, che aveva testato dosi ridotte di rivaroxaban, nell’AUGUSTUS questo beneficio sui sanguinamenti è avvenuto con la stessa dose approvata e utilizzata per la FA non valvolare (5 mg bid con riduzione a 2,5 mg bid se almeno due condizioni tra età ≥80 anni, peso ≤60 kg e creatininemia ≥1,5 mg/dL). Il beneficio sui sanguinamenti, confermato anche utilizzando le classificazioni alternative GUSTO e TIMI, è stato di entità simile sia sui sanguinamenti maggiori secondo la classificazione ISTH (HR 0,64, IC 95% 0,47-0,86) sia su quelli non maggiori ma clinicamente rilevanti (HR 0,69, IC 95% 0,57-0,84), compresa una riduzione numerica delle emorragie intracraniche (HR 0,39, IC 95% 0,14-1,12).

Il dato forse più clinicamente rilevante però è stata l’efficacia. Sebbene lo studio AUGUSTUS sia stato dimensionato sulla sicurezza e non sull’efficacia, è stata osservata una significativa riduzione del 17% delle ospedalizzazioni per tutte le cause (HR 0,83, IC 95% 0,74-0,93) e soprattutto un dimezzamento del rischio di ictus (HR 0,50, IC 95% 0,26-0,97) nei pazienti randomizzati ad apixaban senza differenze significative sugli altri endpoint ischemici, tra cui infarto miocardico, trombosi di stent o rivascolarizzazione urgente.
In conclusione, apixaban 5 mg bid ha dimostrato di essere non solo più sicuro sui sanguinamenti ma anche più efficace nel ridurre l’incidenza di ictus rispetto agli AVK e dovrebbe essere quindi considerato sistematicamente in pazienti eleggibili con FA ricoverati per SCA e/o PCI.

Fattore 2, Aspirina
Nel secondo fattore, questo in doppio cieco, i pazienti sono stati randomizzati ad aspirina 81 mg o corrispondente placebo. L’effetto osservato in questa randomizzazione è più complesso rispetto a quello del fattore anticoagulante. Come prevedibile l’aspirina ha aumentato il rischio di sanguinamenti rispetto al placebo. Questo aumento è stato quantitativamente rilevante: quasi 2 volte il rischio dell’endpoint primario rispetto al placebo di sanguinamenti maggiori o non maggiori ma clinicamente rilevanti secondo la classificazione ISTH (HR 1,89, IC 95% 1,59-2,24; P<0,001) con un effetto simile sulle due componenti (HR 1,70, IC 95% 1,25-2,31 sui sanguinamenti maggiori; HR 1,93, IC 95% 1,58-2,36 sui sanguinamenti non maggiori ma clinicamente rilevanti) anche se non ha aumentato il rischio di emorragia intracranica (HR 0,82, IC 95% 0,32-2,07). Questo aumento dei sanguinamenti è stato però, a differenza di quanto osservato nel primo fattore, controbilanciato da una indicazione di efficacia. L’aspirina è stata infatti associata ad un beneficio potenzialmente rilevante in termini quantitativi, anche se non statisticamente significativo, per il basso numero di eventi, sul rischio di trombosi di stent (HR 0,52, IC 95% 0,25-1,08) con stime puntuali che suggeriscono una possibile riduzione di circa il 20% del rischio di infarto miocardico e rivascolarizzazione urgente, sebbene gli IC siano ampi e non statisticamente significativi. Non emerge invece nessuna indicazione di possibile efficacia sul rischio di ictus.

Va notato che questo potenziale effetto dell’aspirina sugli endpoint di efficacia – in particolare la trombosi di stent – si è verificato in una popolazione in cui solo tre quarti dei pazienti è stato trattato con PCI (e poteva quindi incorrere in una trombosi di stent) ed in media circa 1 settimana dopo l’evento indice. L’effetto dell’aspirina è quindi più complesso. Può essere probabilmente sospesa rapidamente o omessa in pazienti con SCA trattati con terapia medica, mentre andrebbe considerata, magari per un tempo limitato (es. almeno 1 mese in cui il rischio di trombosi di stent o infarto miocardico è massimo, anche se bisognerà attendere i dati da successive pubblicazioni) nei pazienti trattati con PCI, in particolare in quelli con SCA.

Conclusioni e implicazioni cliniche
Lo studio fattoriale AUGUSTUS ha, per la prima volta, consentito di testare in modo indipendente il ruolo di due regimi anticoagulanti e dell’aspirina rispetto a placebo in pazienti con FA ricoverati per SCA o PCI. I risultati supportano un uso generalizzato di apixaban rispetto agli AVK in questa popolazione. Sebbene l’aspirina abbia aumentato in modo quantitativamente significativo i sanguinamenti, il suo utilizzo è stato associato ad una riduzione numerica di eventi ischemici, in particolare trombosi di stent, che non ne giustifica una sospensione precoce e sistematica, in particolare nei pazienti ad alto rischio trombotico, come quelli con SCA e PCI.

Sergio Leonardi
Università degli Studi di Pavia
Terapia Intensiva Cardiologica
Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

1. Lopes RD, Heizer G, Aronson R, et al; AUGUSTUS Investigators. Antithrombotic therapy after acute coronary syndrome or PCI in atrial fibrillation. N Engl J Med 2019 Mar 17. doi: 10.1056/NEJMoa1817083 [Epub ahead of print].
2. Gibson CM, Mehran R, Bode C, et al. Prevention of bleeding in patients with atrial fibrillation undergoing PCI. N Engl J Med 2016;375:2423-34.
3. Cannon CP, Bhatt DL, Oldgren J, et al; RE-DUAL PCI Steering Committee and Investigators. Dual antithrombotic therapy with dabigatran after PCI in atrial fibrillation. N Engl J Med 2017;377:1513-24.
4. Pokorney SD, Simon DN, Thomas L, et al; Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation (ORBIT-AF) Investigators. Patients’ time in therapeutic range on warfarin among US patients with atrial fibrillation: results from ORBIT-AF registry. Am Heart J 2015;170:141-8.