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ACC.17: troponina T post-chirurgica, marker del danno cardiaco

By 28 Marzo 2017Settembre 14th, 2021No Comments
Dai congressi

L’analisi dei livelli di troponina T potrebbe permettere di identificare, tra i pazienti sottoposti a un intervento chirurgico non cardiaco, quelli che presentano un danno cardiaco. Questa è la conclusione di uno studio realizzato dalla McMaster University di Hamilton (Ontario) e presentato al meeting annuale dell’American College of Cardiology (ACC.17) tenutosi a Washington. Grazie a una misurazione dei livelli di questa proteina sarebbe infatti possibile prevedere il rischio di morte per i pazienti che presentano un danno al cuore (non identificato nel 93% dei casi) a seguito di un intervento chirurgico non cardiaco.

I ricercatori hanno preso in considerazione 21842 pazienti provenienti da 23 ospedali di 13 diversi stati, dei quali il 35% era stato precedentemente sottoposto a chirurgia a basso rischio, il 20% a chirurgia generale e il 16% a procedure ortopediche. I livelli di troponina T sono stato stati misurati attraverso un test ad alta sensibilità di seconda generazione, nelle prime 6 – 12 ore successive all’intervento e nei tre giorni successivi. I pazienti sono stati quindi seguiti per 30 giorni, registrando eventuali complicazioni come ictus, embolie polmonari, sepsi e sanguinamenti. Durante questo periodo, l’1,2% dei soggetti è deceduto per patologie legate a un danno cardiaco. Tuttavia, il rischio di morte è risultato associato ai livelli di troponina T. Infatti, per i pazienti con livelli di questa proteina inferiori a 5 ng/L il rischio di morte nei 30 giorni dopo l’intervento è risultato essere dello 0,1%, per quelli con livelli compresi tra 14 ng/L e 30 ng/L dell’1,1% e per quelli caratterizzati da livelli di troponina T compresi tra 20 ng/L e 64 ng/L il rischio di morte è risultato del 3%. Infine, sono emersi hazard ratio di 70,05 e di 212,42 per i pazienti con livelli compresi rispettivamente tra 65 ng/L e 1000 ng/L e superiori a 1000 ng/L.

“Approssimativamente il 18% dei soggetti presenta un danno al cuore a seguito di un intervento chirurgico non cardiaco, ma senza monitoraggio della troponina T il 93% di questi non viene individuato”, ha dichiarato PJ Devereaux, ricercatore della McMaster University che ha partecipato allo studio. “I nostri dati mostrano che un danno cardiaco non identificato causa il 25% dei decessi che si verificano nei 30 giorni successivi a un intervento chirurgico non cardiaco”.

Secondo il ricercatore è necessario sviluppare una maggiore collaborazione interdisciplinare per far sì che i pazienti che presentano livelli elevati di troponina T vengano sottoposti a un esame cardiologico e, eventualmente, a un trattamento a base di statine o di aspirina. Dati osservazionali dimostrano infatti che l’impiego di queste terapie è in grado di ridurre il rischio di morte in pazienti con danno cardiaco ischemico a seguito di un intervento chirurgico non cardiaco. “Tuttavia, i dati ci dicono che solo una minima parte dei pazienti riceve questi trattamenti”, sottolinea Devereaux. “Siamo ancora carenti nella gestione post-operatoria. È necessario che i clinici siano più coinvolti in questa fase, assicurandosi che le persone traggano il massimo beneficio dagli interventi. Anche se la maggior parte dei pazienti non presenta complicazioni, e solo una piccola porzione muore per queste cause, si tratta comunque di un grande problema considerato il numero di persone che viene sottoposto a interventi chirurgici”.

Fabio Ambrosino

▼ Susman E. ACC: High Troponin T Levels May Up Death Risk Post-Surgery. American College of Cardiology 2017 Scientific Sessions; March 18, 2017. Washington, DC.