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ACC.17: trial FOURIER, evolocumab per l’ipercolesterolemia

By 5 Aprile 2017Settembre 14th, 2021No Comments
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I risultati del trial di outcome cardiovascolare FOURIER, presentati all’ACC.17 da Marc Sabatine del Brigham and Woman’s Hospital di Boston e pubblicati contestualmente sul New England Journal of Medicine, confermano la teoria del “the lower, the better” secondo la quale quanto più si riducono i livelli di colesterolo LDL (C-LDL) tanto più si riduce il rischio di eventi cardiocerebrovascolari. Evolocumab, un agente della nuova classe degli anticorpi monoclonali inibitori di PCSK9, in aggiunta alla terapia statinica, si è dimostrato efficace nel ridurre significativamente la morbilità e mortalità cardiovascolare nei pazienti con malattia aterosclerotica clinicamente rilevante.

Nello studio, condotto tra febbraio 2013 e giugno 2015 con il coinvolgimento di 49 Paesi, sono stati arruolati 27.564 pazienti in terapia con statine ad intensità moderato-alta in associazione o meno ad ezetimibe, dei quali l’81% con storia di infarto miocardico, il 19% con pregresso ictus ischemico e il 13% con arteriopatia periferica sintomatica. I pazienti sono stati randomizzati in rapporto 1:1 a ricevere evolocumab per via sottocutanea alla dose di 140 mg ogni 2 settimane o 420 mg al mese, o placebo. I livelli basali medi di C-LDL erano ≥92 mg/dl.
Evolocumab ha comportato una riduzione del C-LDL del 59%, senza alcuna attenuazione degli effetti per l’intera durata dello studio. Ad un follow-up mediano di 2,2 anni, l’endpoint primario, costituito da un composito di infarto miocardico, ictus, ospedalizzazione per angina, rivascolarizzazione coronarica o morte per cause cardiovascolari, si è verificato nell’11,3% dei pazienti del gruppo placebo contro il 9,8% del gruppo evolocumab, pari ad una riduzione complessiva del 15%. Ad un anno, è stata osservata anche una riduzione del 20% (p<0,001) dell’endpoint secondario composito più importante – infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare. Tali benefici sono stati rilevati uniformemente a prescindere da età, sesso, tipologia di patologia cardiovascolare, intensità della terapia con statine, regime di evolocumab e livelli di C-LDL al basale, inclusi i pazienti nel quartile più basso con C-LDL iniziale di 74 mg/dl nei quali evolocumab ha determinato una riduzione di 22 mg/dl. L’incidenza di eventi avversi – reazioni allergiche, disturbi neurocognitivi, diabete di nuova insorgenza e problemi muscolari – è stata analoga in entrambi i gruppi, fatta eccezione per le reazioni al sito di iniezione che, seppur lievi, sono state osservate più frequentemente nel gruppo evolocumab (2,1 vs 1,6%). Fino ad oggi nessuno studio sulla terapia ipolipemizzante intensiva aveva dimostrato una significativa riduzione della mortalità cardiovascolare rispetto alla terapia statinica ad intensità moderata. Si aprono quindi concrete prospettive per il trattamento di quei numerosi pazienti affetti da grave dislipidemia e/o intolleranti alle statine che permangono ad alto rischio cardiovascolare per l’impossibilità a conseguire un adeguato controllo dei livelli di C-LDL. Sulla scia del PROVE IT-TIMI 22 e dell’IMPROVE-IT, il FOURIER fornisce solide evidenze circa i benefici sugli esiti cardiovascolari derivanti da una riduzione del C-LDL anche al di sotto dei valori target attualmente raccomandati, il che verosimilmente porterà ad una riformulazione delle linee guida esistenti. Resta comunque da definire la soglia al di sotto della quale una riduzione del C-LDL non si associa ad alcun beneficio aggiuntivo.

Lo studio è limitato da un follow-up relativamente breve ma, come dichiarato dallo stesso Sabatine, è prevista un’estensione per 6000 pazienti fra quelli arruolati al fine di valutare il profilo di sicurezza di evolocumab a lungo termine. A questo si aggiunge che, avendo il FOURIER incluso solamente pazienti con malattia aterosclerotica, in futuro sarà necessario testare l’efficacia di questo inibitore di PCSK9 anche in altre popolazioni ad alto rischio, quali i pazienti diabetici senza patologia cardiovascolare nota. Infine, resta da chiedersi se i risultati ottenuti dal FOURIER siano sufficienti ad ammortizzare i costi elevati di questa categoria di farmaci che superano i 14.000 dollari per paziente all’anno e che imporranno un’accurata selezione dei pazienti ai quali somministrarli.

Paola Luciolli