
In termini di eventi cardiaci avversi, la terapia farmacologica è efficace quanto la rivascolarizzazione percutanea (PCI) per il trattamento delle occlusioni croniche totali (CTO) delle arterie coronarie. Questo è quanto è emerso dai risultati del trial clinico randomizzato DECISION-CTO, presentati da Seung-Jun Park dell’Asan Medical Center di Seoul all’ACC.17.
Le evidenze disponibili fino ad oggi sugli esiti della PCI di CTO erano prevalentemente derivate da studi osservazionali di confronto tra successo e insuccesso procedurale, privi tuttavia di un gruppo di controllo e inficiati da sostanziali bias di selezione. Il DECISION-CTO è il primo trial prospettico randomizzato multicentrico, in aperto, nel quale sia stata confrontata la terapia medica ottimizzata (OMT) associata o meno a PCI con o senza impianto di stent. Nell’arco di 6 anni sono stati arruolati 815 pazienti presso 19 centri dell’Asia, dei quali 398 randomizzati a OMT da sola e 417 a OMT+PCI, con caratteristiche simili al basale, fatta eccezione per una maggiore prevalenza di angina nel gruppo OMT. Il tasso di successo procedurale è stato del 90.6%. A 3 anni di follow-up, l’endpoint primario composito (morte, infarto miocardico, ictus e nuova rivascolarizzazione) si è verificato nel 19.6% dei pazienti in OMT vs il 20.6% dei pazienti sottoposti a PCI di CTO (P = 0.008 per non-inferiorità), senza differenze significative tra i due gruppi nei singoli componenti dell’endpoint. In entrambi i bracci di trattamento, non è stato riscontrato alcun miglioramento della sintomatologia anginosa e della qualità di vita, valutate mediante Seattle Angina Questionnaire.
Il trattamento delle CTO delle arterie coronarie è una sfida che impegna da molti anni i cardiologi interventisti, essendo lesioni coronariche estremamente complesse, le cui caratteristiche in termini di durata dell’occlusione e modalità di insorgenza condizionano la procedura di ricanalizzazione, la scelta dei materiali e la probabilità di successo della PCI, il che impone che l’intervento sia eseguito da operatori altamente qualificati ed esperti.
Secondo Park, due sono i motivi principali per i quali nei pazienti con CTO può essere presa in considerazione la OMT come opzione di prima linea: 1) i pazienti con occlusione di lunga durata sviluppano talvolta una sorta di “bypass naturale” che consente al flusso sanguigno di aggirare l’ostruzione e 2) un’ostruzione totale potrebbe determinare un minor rischio di attacco cardiaco rispetto ad un’ostruzione parziale, in quanto l’impedimento completo al flusso sanguigno ridurrebbe le probabilità di rottura coronarica.
Tuttavia, il trial è gravato da numerosi limiti metodologici che inducono a pensare che avrà uno scarso impatto sulla pratica clinica. Come sottolineato da Emmanouil S. Brikalis del Minneapolis Heart Institute, la mancanza di dati circa la pervietà del territorio miocardico post-procedura, il tasso del 20% di crossover da OMT a PCI e l’interruzione prematura dello studio a causa del lento arruolamento, sono tutti elementi che limitano la potenza dello studio. A questo si aggiunge che il disegno del trial è stato commutato “in corso d’opera” da superiorità in non-inferiorità, comportando anche una modifica dell’endpoint primario.
Restano pertanto aperti ancora molti dubbi, e solo ulteriori studi potranno stabilire se la OMT possa rappresentare una reale strategia alternativa alla PCI in pazienti selezionati con CTO delle arterie coronarie.
Paola Luciolli
▼ Park SJ , Lee SW, Ahn JM et al. Drug-eluting stent versus optimal medical therapy in patients with coronary chronic total occlusion: DECISION-CTO randomized trial. American College of Cardiology 2017 Scientific Sessions; March 18, 2017. Washington, DC. Abstract 405-15.