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HOPE-3: le statine per la prevenzione primaria della malattia cardiovascolare

By 27 Aprile 2016Marzo 30th, 2022No Comments
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HOPE-3

I risultati dello studio HOPE-3, presentati da Salim Yusuf all’ACC.16 e pubblicati contestualmente sul New England Journal of Medicine, forniscono l’evidenza di un beneficio clinico significativo della terapia ipolipemizzante con statine e antipertensiva  in un ampio spettro di soggetti di diversa etnia a medio rischio senza storia di malattia cardiovascolare. Di contro, tale beneficio non sembra distribuirsi in maniera uniforme tra i pazienti in trattamento con statine e antipertensivi.

Lo studio con disegno fattoriale 2×2 ha incluso 12 705 pazienti, arruolati presso 228 centri di 21 paesi, randomizzati a rosuvastatina 10 mg/die, terapia antipertensiva con candesartan 16 mg/die + idroclorotiazide 12.5 mg/die o la combinazione dei due interventi vs placebo. Ad un follow-up mediano di 5.6 anni, il primo outcome co-primario (composito di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale e ictus non fatale) si è verificato nel 3.7% del gruppo rosuvastatina vs 4.8% nel gruppo placebo (HR 0.76, IC 95% 0.64-0.91; p=0.002); il secondo outcome co-primario (composito del primo outcome co-primario + arresto cardiaco rianimato, scompenso cardiaco e necessità di rivascolarizzazione) confermava una tendenza analoga (4.4 vs 5.7%, HR 0.75; IC 95% 0.64-0.88; p<0.001).

I benefici della terapia statinica rispetto al placebo sono stati confermati anche nei diversi sottogruppi definiti in base al rischio cardiovascolare in condizioni basali e ai livelli di colesterolemia LDL, proteina C-reattiva e pressione arteriosa, così come non sono state evidenziate eterogeneità in funzione del sesso, dell’età, della razza o dell’etnia. Da sottolineare che, in una sottoanalisi prespecificata, il trattamento attivo ha determinato una riduzione significativa del 27% del rischio del secondo outcome co-primario rispetto al placebo nei pazienti con valori di pressione arteriosa sistolica (PAS) nel terzile più alto (>143.5 mmHg), contro nessun beneficio nei pazienti con PAS compresa tra 131.6 e 143.5 mmHg e un potenziale effetto nocivo in quelli con PAS ≤131.5 mmHg alla randomizzazione. In termini di sicurezza, un maggior numero di pazienti del gruppo rosuvastatina vs placebo è stato sottoposto ad intervento di cataratta (3.8 vs 3.1%, p=0.02) ed ha sviluppato sintomatologia muscolare (5.8 vs 4.7%, p=0.005).

Con lo studio HOPE-3 i benefici della terapia farmacologica in prevenzione primaria si estendono, dunque, anche ai pazienti a rischio intermedio senza storia di patologia cardiovascolare. La combinazione di rosuvastatina 10 mg/die in aggiunta alla terapia antipertensiva con candesartan 16 mg/die e idroclorotiazide 12.5 mg/die è risultata associata ad una riduzione degli eventi cardiovascolari nei pazienti classificati a rischio intermedio secondo i metodi convenzionali di stratificazione del rischio, indipendentemente dai livelli basali di colesterolo LDL e dei biomarcatori dell’infiammazione. Tuttavia, nei pazienti con PAS non eccessivamente elevata, la terapia antipertensiva non ha conferito alcun beneficio aggiuntivo rispetto al solo trattamento con statine, con una riduzione del rischio relativo di eventi cardiovascolari del 25% rispetto al placebo. Queste osservazioni potrebbero contribuire in futuro a definire i valori pressori minimi al di sotto dei quali la terapia antipertensiva non è verosimilmente inefficace.

Diverse sono le implicazioni cliniche che derivano dai risultati dello studio. Numerose linee guida sull’ipertensione non suggeriscono di somministrare le statine, mentre lo studio HOPE-3 fornisce un’evidenza del loro beneficio anche nei soggetti ipertesi, deponendo per un impiego più esteso di questa classe farmacologica. La riduzione del 40% del rischio di eventi cardiovascolari osservata nei pazienti in terapia d’associazione inclusi nel terzile più alto di PAS (>143.5 mmHg) è stata determinata per la metà quasi dal trattamento con rosuvastatina e per l’altra metà dalla terapia antipertensiva, ad indicare che i benefici si raddoppiano quando ad una diminuzione dei valori pressori si aggiunge la contemporanea riduzione della colesterolemia LDL.

La somministrazione di rosuvastatina a dose fissa, inoltre, costituisce una strategia preventiva di facile attuazione e sicura, che consente di ovviare alla necessità di un monitoraggio continuo e di ripetute visite ambulatoriali per la titolazione del dosaggio, traducendosi così anche in una diminuzione dei costi. Una trasposizione del concetto della “polipillola” in questo ambito quale utile strumento per la prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari, seppur limitato dal mancato riscontro di effetti favorevoli nei pazienti con livelli pressori più contenuti. Ma la comunità scientifica, nell’attuale scenario di risvolti medico-legali, sarà in grado di applicare nella pratica clinica del “real world” l’approccio adottato in questo studio, che non prevede la determinazione al basale della colesterolemia e comporta una netta riduzione delle visite di follow-up? E come garantire un adeguato controllo nel caso il paziente sviluppi effetti collaterali?

David Frati