
“Entro la fine di quest’anno potremmo avere dei risultati che potrebbero aprire un mondo nuovo nel trattamento dello scompenso cardiaco”. Si è aperto con queste parole di Andrea Di Lenarda – Direttore del Centro Cardiovascolare di Trieste – il simposio dal titolo “Terapia standard of care dello scompenso cardiaco cronico: sacubitril/valsartan protagonista”, tenutosi il 17 maggio scorso a Rimini nel corso dell’ultimo Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Di fronte a una sala gremita, con molti partecipanti costretti ad assistere in piedi, si sono alternati cinque tra i maggiori esperti nell’ambito dello scompenso cardiaco.
Il primo intervento è stato quello di Pasquale Perrone Filardi, Ordinario di Cardiologia dell’Università Federico II di Napoli e prossimo Presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC), che ha riassunto le evidenze relative all’impatto di sacubitril/valsartan sulla progressione dello scompenso cardiaco e i rischi associati. “Quello relativo a questa nuova opportunità terapeutica è un programma di sviluppo formidabile – ha iniziato Perrone Filardi – che sta continuando, attraverso una serie di pubblicazioni ancillari, dopo lo studio principale [n.d.r. il trial PARADIGM-HF] (1), a fornire una mole considerevole di dati, spesso di natura meccanicistica oltre che clinica”.
Il suo intervento è partito proprio dai dati emersi dal trial PARADIGM-HF (“uno studio netto, interrotto precocemente per la nettezza dei risultati”), il quale ha raggiunto sia l’endpoint principale, costituito dalla riduzione del 20% del combinato di morte cardiovascolare e ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, che una serie di endpoint secondari riguardanti la mortalità per morte improvvisa, la mortalità per tutte le cause, la permanenza in terapia intensiva e altri. Il tutto, rispetto a un trattamento con l’ACE-inibitore enalapril. “Si tratta di un’opportunità terapeutica che possiamo definire disease-modifying – ha quindi sottolineato Perrone Filardi –, qualcosa che cambia la storia naturale della progressione di malattia e, soprattutto, la sopravvivenza dei pazienti con scompenso cardiaco”.
Il prossimo Presidente SIC ha poi trattato il tema della variabilità del rischio associata alle diverse classi di pazienti. Lo studio PARADIGM-HF, infatti, è stato condotto prevalentemente su pazienti sintomatici in bassa classe funzionale (Classe NYHA II) che – ha sottolineato – “vengono spesso percepiti, erroneamente, come stabili”. Infatti, nel gruppo trattato con enalapril il 25,4% dei soggetti in classe NYHA II e il 22,5% di quelli senza precedenti ospedalizzazioni è andato incontro a un evento di morte cardiovascolare o a un ricovero per scompenso (Figura 1). “Quello che lo studio PARADIGM-HF ha dimostrato è che si può intercettare, con una certa tempestività (che si potrebbe addirittura definire urgenza di trattamento), questi pazienti e impattare sulla loro storia clinica”.

Figura 1 | PARADIGM-HF: rischio residuo nei pazienti del braccio trattato con enalapril. Modificata da Murray et al. 2014 (1).
Dopo aver descritto i dati – anche questi a favore di sacubitril/valsartan – relativi alla qualità della vita dei pazienti, Perrone Filardi ha sottolineato l’importanza di riuscire a raggiungere il dosaggio raccomandato, il quale “dev’essere stabilito con molta attenzione e sulla base delle caratteristiche del paziente”. Infatti, nei soggetti in cui si riesce a raggiungere la dose target il rischio di eventi risulta molto minore rispetto a quelli in cui non si riesce a raggiungere questo obiettivo. Tuttavia, ha concluso il cardiologo della Federico II, “quando non è possibile raggiungere la dose target, un dosaggio ridotto permette comunque di ottenere dei benefici clinici”.
L’intervento successivo è stato quello di Claudio Rapezzi, Direttore dell’U.C. di Cardiologia del Policlinico di S.Orsola di Bologna, che ha descritto quelli che dal suo punto di vista sono i quattro principali motivi sottostanti l’inerzia di alcuni medici a continuare a prescrivere un trattamento con ACE-inibitori: la mancata comprensione dei meccanismi molecolari associati alla somministrazione di sacubitril/valsartan, la tendenza a non voler effettuare uno shift terapeutico in pazienti che apparentemente non sono andati incontro a un peggioramento clinico, la mancanza di tempo da dedicare alle visite ambulatoriali necessarie a effettuare lo shift e, infine, le indicazioni delle linee guida che raccomanderebbero di non cambiare protocollo terapeutico in pazienti il cui stato di salute rimane tendenzialmente stabile.
Rapezzi ha quindi dimostrato come dietro a ognuno di questi fattori ci sia in realtà un’incomprensione o un ostacolo agilmente superabile. Inoltre, ha fatto notare come analizzando i dati di sopravvivenza del trial PARADIGM-HF in senso orizzontale – e quindi in termini di guadagno effettivo associato al singolo approccio terapeutico – si noti che il trattamento con sacubitril/valsartan sia risultato associato a un aumento di sopravvivenza medio di 1,3 anni (in alcuni casi di oltre 2 anni) rispetto ai pazienti trattati con enalapril. “Quindi si può dire al paziente che con questo trattamento vivrà di più”, ha concluso il cardiologo del S.Orsola.
È poi intervenuta Nadia Aspromonte, cardiologa del Polo di Scienze Cardiovascolari e Toraciche del Policlinico Gemelli di Roma, la quale ha parlato del possibile utilizzo di sacubitril/valsartan in prima linea di trattamento. In linea con le considerazioni fatte da Perrone Filardi, ha iniziato affrontando il tema della cosiddetta stabilità nell’ambito dello scompenso cardiaco. “Niente è più instabile di un paziente stabile – ha spiegato –, è sbagliato aspettare per iniziare il trattamento”. In particolare, Aspromonte ha sottolineato come la capacità di sacubitril/valsartan di impattare sulla progressione di malattia dovrebbe essere sfruttata per andare ad agire sui rischi associati, spostando finalmente verso l’alto la nota curva di Gheorghiade et al (Figura 2). “Questo trattamento deve andare in prima linea – ha concluso – perché siamo di fronte a un panorama di disease-modifyng importante”.

Figura 2 | Progressione dello scompenso cardiaco. Modificato da Georghiade et al. 2005.
Il simposio è poi continuato con la relazione di Michele Senni, direttore dell’Unità di Cardiologia 1 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, il quale ha discusso la possibilità di iniziare il trattamento con sacubitril/valsartan già nei pazienti ospedalizzati. “L’ospedalizzazione è un momento negativo – ha commentato – ma può essere trasformato in un momento positivo”. In particolare, riportando una serie di dati complementari provenienti dai trial PIONEER-HF e TRANSITION, Senni ha messo in evidenza come i dati relativi a un trattamento con sacubitril/valsartan iniziato in ospedale dimostrino come questo sia fattibile e ben tollerato, confermando anche in questo caso la superiorità di questo approccio rispetto a enalapril. “È importante iniziare subito questo farmaco – ha concluso – perché gli effetti si vedono già dopo la prima settimana”.
L’ultimo intervento, infine, è stato quello di Maria Frigerio, Direttore dell’Unità di Cardiologia 2 dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, la quale ha parlato di un possibile utilizzo di sacubitril/valsartan anche nei pazienti più compromessi. “Bisogna intervenire il più precocemente possibile – ha iniziato – ma meglio tardi che mai”. In particolare, la cardiologa ha elencato una serie di dati del trial PARADIGM-HF relativi a sottogruppi con caratteristiche tipicamente riscontrabili anche nei pazienti con malattia in fase avanzata, mettendo in evidenza come in tutti questi sacubitril/valsartan sia risultato superiore a enalapril. Infine, ha fornito una serie di risposte a possibili obiezioni all’utilizzo del farmaco in questa classe di pazienti, dall’ipotensione a un possibile rischio associato all’interruzione del trattamento con gli ACE-inibitori.
A 5 anni dalla pubblicazione del trial PARADIGM-HF, quindi, il trattamento con sacubitril/valsartan nell’ambito dei pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione continua a ottenere conferme. Come sottolineato da Andrea Di Lenarda in fase di apertura del simposio, poi, questo approccio terapeutico è attualmente in fase di sperimentazione anche nei pazienti con frazione di eiezione preservata. Se i risultati dovessero replicare quelli ottenuti fino a questo momento, lo scenario del trattamento dello scompenso cardiaco potrebbe realmente cambiare.
Fabio Ambrosino
▼1. McMurray JVJ, Packer M, Desai AS, et al. Angiotensin–Neprilysin Inhibition versus Enalapril in Heart Failure. New England Journal of Medicine 2014; 371: 993-1004.
2. Gheorghiade M, De Luca L, Fonarow GC, et al. Pathophysiologic targets in the early phase of acute heart failure syndromes. American Journal of Cardiology 2005; 96(6A): 11G-17G.