
Management dei pazienti con fibrillazione atriale (FA): cosa è cambiato negli ultimi anni in pratica clinica? Quali sono le prossime sfide della ricerca, in particolare nella terapia anticoagulante di questi pazienti? Cosa ci dicono i trial più recenti e cosa dobbiamo aspettarci da quelli in corso? Quali sono i gap nell’evidenza ancora da colmare? Quali gli unmet needs dei pazienti con FA? Se lo sono chiesto importanti esperti a livello internazionale durante l’affollatissimo Simposio satellite “Advances in anticoagulation to improve patient care in atrial fibrillation”, svoltosi nell’ambito del congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC), svoltosi a Monaco di Baviera.
Renato Lopes della Division of Cardiology del Duke University Medical Center di Durham con la sua relazione intitolata “Anticoagulation in atrial fibrillation: what the trials tell us and gaps in current knowledge” ha fatto il punto su ciò che sappiamo per arrivare a quello che ancora non sappiamo sulla gestione della terapia anticoagulante nei pazienti con FA: “Stiamo vivendo una nuova era nella prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale. La bellezza dei trial più importanti degli ultimi anni in quest’area (RE-LY, ROCKET-AF, ARISTOTLE, ENGAGE AF-TIMI 48) sta nel fatto che non solo hanno portato all’approvazione di nuovi agenti, ma hanno spinto e stanno ancora spingendo la ricerca verso nuove frontiere. Grazie ai dati di questi trial stiamo riscrivendo la storia della prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA. Warfarin è un farmaco molto efficace nella riduzione del rischio di ictus, con una Relative Risk Reduction (RRR) di ben il 64%: pensateci, sono pochi i farmaci nella storia della farmacia in grado di garantire un vantaggio così elevato. Ma warfarin è anche un farmaco difficile da usare, con molti effetti collaterali. Avevamo bisogno di qualcosa di ancora migliore, soprattutto sul profilo della sicurezza. E quando si sono analizzati i dati combinati provenienti dai trial RE-LY, ROCKET-AF, ARISTOTLE ed ENGAGE AF-TIMI 48 si è visto che avevamo trovato i farmaci che cercavamo, con una RRR vs warfarin del 19%: quei farmaci erano i NOAC. Più efficaci e soprattutto molto più sicuri”. Sono però disponibili ancora troppi pochi dati sui pazienti con FA e insufficienza renale, sui quelli con FA sub-clinica, su quelli sottoposti ad ablazione, su quelli con FA di nuova insorgenza e cardioversione acuta, su quelli con FA e sindrome coronarica acuta (in trattamento con DAPT e anticoagulanti orali). Sono attualmente in corso tre trial sulla terapia con NOAC in pazienti in dialisi (AXADIA, RENAL-AF e STOP HARM) e due trial sui NOAC in pazienti con FA sub-clinica (ARTESIA e NOAH-AFNET), ha ricordato Lopes. E il trial EMANATE su apixaban in pazienti con FA sottoposti a cardioversione ha arruolato ben il 78% di pazienti con FA di nuova insorgenza, contrariamente a quanto accaduto con X-VERT ed ENSURE-AF, registrando dati assai incoraggianti. Nei pazienti con FA e ACS le strategie terapeutiche adottate sono troppo numerose ed eterogenee: maggiore chiarezza dovrebbe arrivare dal trial AUGUSTUS ACS/PCI, che dovrebbe essere presentato all’edizione 2019 dell’ACC e da ENTRUST AF-PCI, atteso per ESC 2019. “I NOAC sono oggi raccomandati al posto di warfarin per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA, anche se il passaggio da warfarin agli anticoagulanti orali è stato più lento del previsto. Rimangono però ancora importanti gap nell’evidenza per numerosi sottogruppi di pazienti con FA: i trial in corso e quelli futuri ci aiuteranno a gestire meglio i nostri pazienti”, ha concluso Lopes.
Luigi Di Biase dell’Albert Einstein College of Medicine del Montefiore Hospital di New York con la sua relazione intitolata “Recent Advances in the Management of NOACs during Interventional Procedures” si è concentrato invece sull’importanza di una terapia anticoagulante peri-procedurale nell’ablazione della FA. “Il rischio di complicazioni tromboemboliche peri-procedurali in questo caso è soprattutto limitato ai pazienti con FA non parossistica e specialmente a quelli con FA persistente, quindi i futuri trial che metteranno a confronto NOAC e warfarin dovrebbero arruolare solo pazienti con queste caratteristiche: questa è la lezione del trial COMPARE, effettuato su 1584 pazienti”. Il trial finora effettuato con il maggior numero di arruolati con FA non parossistica, AXAFA, ha dimostrato la non inferiorità di apixaban in questo setting (differenza nell’outcome primario ‒ un outcome composito comprendente mortalità per tutte le cause, ictus e sanguinamenti maggiori ‒ meno 0,38%, 90% CI da -4% a 3,3%, p=0,0002). Sanguinamenti ed eventi tromboembolici con somministrazione ininterrotta di apixaban si sono rivelati sovrapponibili a quelli registrati nei precedenti trial con dabigatran e rivaroxaban. Va considerato però che AXAFA ha preso in esame pazienti con CHA2DS2-VAS score medio di 2,4 (quindi più elevato di quello dei pazienti arruolati nei trial RE-CIRCUIT e VENTURE-AF), più anziani e con TTR più elevato, in media 84%. AXAFA inoltre è stato il primo studio controllato a comparare la funzione cognitiva prima e dopo l’ablazione della FA. Una revisione sistematica effettuata da un team di ricercatori tra i quali figurava anche lo stesso De Biase ha confermato che non c’è una significativa differenza tra la somministrazione continua peri-procedurale di NOAC e VKA per gli outcome presi in esame (sanguinamenti maggiori e minori, eventi tromboembolici, infarto cerebrale silente), ma che è stato registrato un trend verso la minor incidenza di sanguinamenti maggiori nel gruppo NOAC. Nel 2017 lo “HRS/EHRA/ECAS/APHRS/SOLAECE expert consensus statement on catheter and surgical ablation of atrial fibrillation” ha peraltro sancito che l’ablazione via catetere della FA su pazienti adeguatamente sottoposti a terapia anticoagulante ininterrotta con warfarin o NOAC è raccomandata. “Vista la loro facilità d’utilizzo, le minori interazioni con altri farmaci, l’assenza della necessità di monitoraggio del rapporto internazionale normalizzato e il profilo simile di sicurezza ed efficacia, i NOAC dovrebbero essere considerati la terapia di prima scelta in prima linea nei pazienti sottoposti ad ablazione trans-catetere della FA non valvolare”, ha concluso Di Biase.
Gregory Y.H. Lip dell’University of Birmingham e del National Institute for Health Research (NIHR) ha voluto ricordare la grande importanza dei dati “real world”, spesso distanti da quelli raccolti con i trial clinici con la sua relazione “Beyond trials: Learning from clinical practice”. Non è una questione teorica o filosofica: se per esempio si confrontano gli outcome clinici dei partecipanti al trial AMADEUS sulla terapia con VKA nei pazienti con FA e quelli dei pazienti real world, si nota immediatamente che la maggiore, inevitabile eterogeneità della popolazione trattata nella pratica clinica quotidiana si traduce in un rischio sensibilmente più elevato di sanguinamenti maggiori, ictus e mortalità. “È per questo che gli studi osservazionali che impiegano dati real world sono più vicini alla pratica clinica quotidiana. Per servire meglio i consumatori di evidenze – pazienti, clinici, comitati che si occupano di stilare linee guida, enti regolatori – gli studi dovrebbero essere classificati in base alla metodologia (osservazionale o interventistico) e alla fonte dei dati (real world o no)”, spiega Lip. Quali sono i punti di forza della ricerca basata sulla pratica clinica? I bassi costi, la sicurezza dei setting, i database tipicamente vasti, la presenza di sottogruppi di pazienti spesso trascurati dai trial clinici, gli outcome maggiormente differenziati. E le limitazioni di questo approccio, invece? Potenziali errori nella raccolta dati, il bias derivato dall’assenza di randomizzazione, l’impossibilità di determinare con certezza la causalità. Se si analizzano i dati real world disponibili, si nota che l’utilizzo dei NOAC nella pratica clinica è molto variabile, legato a fattori imprevedibili nei trial clinici, come la regione geografica di appartenenza del paziente o altre sue caratteristiche personali. Tra i NOAC, si osserva un trend per un utilizzo più diffuso di apixaban nei pazienti più anziani, con funzione renale compromessa e storia di sanguinamenti. “Nonostante le premesse, i dati sui NOAC nella pratica clinica che abbiamo a disposizione paiono confermare quelli emersi dai trial randomizzati: per quanto riguarda apixaban, per esempio, i dati real world supportano le conclusioni del trial ARISTOTLE, con riduzione di ictus e sanguinamenti maggiori rispetto ai VKA”, ha concluso Lip.
Come integrare meglio i dati che arrivano dai trial clinici nella pratica clinica? Se lo è domandato Hein Heidbuchel dell’University of Antwerp, Presidente Eletto EHRA, nel suo intervento intitolato “Better use of scientific evidence in clinical practice: integrated atrial fibrillation care”, che ha concluso il simposio: “I punti cardine di una cura integrata della FA ‒ che è una patologia complessa con un trattamento a lungo termine ‒ sono il coinvolgimento del paziente, l’implementazione di team multidisciplinari, l’utilizzo di tool tecnologici e l’accesso a tutti i trattamenti disponibili. Tutti gli studi che hanno misurato gli outcome dell’adozione di una cura integrata hanno dimostrato che si tratta di una strategia che porta grandi risultati sia dal punto di vista clinico che finanziario. Ma è una strategia difficile da perseguire: empowerment del paziente e decision making condiviso, gestione quotidiana di un modello collaborativo tra diverse figure professionali, checklist, monitoraggio continuo sono cose facili a dirsi ma terribilmente complicate a farsi”. Questo è il principio su cui è basata del resto la “2018 Heart Rhythm Association Practical Guide on the use of non-vitamin K antagonist oral anticoagulants in patients with atrial fibrillation”, presentata al congresso EHRA di Barcellona, che ha introdotto molte significative novità. L’anno precedente lo studio IMPACT-AF, condotto su 2281 pazienti di 48 centri di Argentina, Brasile, Cina, India e Romania, ha valutato gli effetti dell’introduzione di un programma educazionale per pazienti con FA su outcome diversi. Innanzitutto si è verificato che in presenza del programma educazionale la compliance dei pazienti è significativamente più elevata, con l’80% dei pazienti che a 1 anno è in terapia anticoagulante contro il 67% del gruppo di controllo. “È emersa anche una percentuale nettamente ridotta di ictus nel gruppo dei pazienti informati”. Heidbuchel ha poi raccontato la sua personale esperienza sull’utilizzo di un tool dedicato all’educazione dei pazienti con FA (Jessa AF Knowledge Questionnaire – JAKQ), che ha portato ad eccellenti risultati. “Portare le evidenze scientifiche nella pratica clinica quotidiana è una sfida che va affrontata con una assistenza integrata e strutturata, che non può prescindere dall’educazione continua dei clinici ma anche dei pazienti”.
David Frati